Amedeo Minghi:"Le Multinazionali uccidono la cultura locale"

10 Marzo 2012
Germano Milite
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MinghiA volte “Il libero mercato” è prevedibile in maniera grottesca: Lucio Dalla muore, la gente si ricorda che vuole tenerlo vivo e comincia a comprare e soprattutto scaricare dai vari store online tutti i suoi album e le raccolte dei pezzi che hanno fatto la storia della musica italiana e che quasi nessuno sembrava ricordare più. Così sullo store della Apple, un disco che prima costava 3,99 euro, arriva fino 11,99.
Cosa c’entra tutto questo con l’intervento di Amedeo Minghi presso la facoltà d’Architettura di Aversa in occasione della kermesse “Muse e Musei”? Molto visto che, lo stesso maestro, tra le sue prime riflessioni include proprio Dalla ed il funzionamento, talvolta miope e perplesso, del circuito musicale mainstream:“L’altra volta ho ascoltato uno speaker di Radio Dj magnificare Lucio per la sua musica straordinaria ed indimenticabile. Ovviamente poi è passato un suo pezzo con tributo. Ora mi chiedo: quante volte, prima che morisse, i network come Radio Dj, RDS, RTL e via discorrendo riprendevano le sue canzoni?”.
E non solo le sue, ovviamente. Per il maestro i canali mediatici più importanti e pervasivi hanno oramai quasi del tutto barattato la nostra cultura con il frivolame globalista e pop. Non una critica da snob, la sua; nemmeno una provocazione banalmente retorica sull’apprezzare le cose (e le persone) solo quando sono perse per sempre, ma una profonda riflessione sul “calo di creatività” e di memoria dovuto ad un’ossessiva necessità di produzione e riproduzione semplice, immediata e vendibile del prodotto musicale.


PIU’ CULTURA LOCALE, MENO MULTINAZIONALI
In risposta all’intelligente spunto fornito dal preside Gambardella sul concetto di “Less is more” introdotto in architettura dal noto Mies Van de Rohe, Minghi ha poi rivolto l’attenzione al certosino lavoro globalizzante (e svilente) delle multinazionali: “Il loro obiettivo è l’omologazione culturale. E’ molto più facile vendere su vasta scala quando in tantissimi desiderano le stesse cose ed hanno gli stessi gusti estetici”. Eppure, riflette il maestro, “insieme agli anglosassoni noi siamo stati gli unici ad aver esportato la musica pop a livello internazionale”. In effetti, da quando il denaro non è più visto come un mezzo ma come il fine ultimo della vita di ogni uomo, il tempo per produrre qualità è diminuito per lasciar spazio alla quantità.


Anche in questo caso, se volete, il discorso può suonare come già sentito e come banale ma, riflettendoci, la produzione in serie di fenomeni musicali annuali spacciati per “artisti” è innegabilmente esplosa negli ultimi 20 anni. Per la produzione e la contemplazione del bello c’è però bisogno di pazienza, umiltà e capacità di attesa. I prodotti da talent sono spesso patinati e di sicuro vendibili ma quanto fascino hanno? E, per rispondere alla domanda posta dalla professoressa Jolanda Capriglione, direttrice artistica della kermesse internazionale “Muse e Musei”, “Cosa rende un artista affascinante”? Ancora una volta Minghi risponde con semplicità, coerenza e consapevolezza: “Bisogna costruire la propria immagine con pazienza ed essere coerenti con propri lavori e con i propri valori. Questo approccio costa non poco ma alla fine ti ripaga. Il tutto, comunque, si costruisce solo con il tempo ed il sacrificio”.

L'AUTORE
Giornalista professionista. Partendo dalla televisione, ha poi lavorato come consulente in digital management per aziende italiane ed internazionali. E' il fondatore e direttore di YOUng. Ama l'innovazione, la psicologia e la geopolitica. Detesta i figli di papà che giocano a fare gli startupper e i confusi che dicono di occuparsi di "marketing".
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