San Suu Kyi ritira il Nobel per la pace vinto oltre 20 anni fa

17 Giugno 2012
Valentina Sanseverino
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“Non dimenticateci anche noi apparteniamo al vostro mondo” con queste parole la leader dell’opposizione birmana Aung San Suu Kyi, 66 anni, ha ricevuto ieri ad Oslo il Premio Nobel per la Pace conferito, per la prima volta nella storia del prestigioso riconoscimento, con più 20 anni di ritardo.


Era il 1991 quando San Suu Kyi scoprì di averlo vinto ascoltando la radio dal luogo in cui scontava gli arresti domiciliari: allora decise di non ritirarlo per paura che la giunta militare contro cui l’attivista si batteva pacificamente, non le permettesse di tornare nel suo paese.



Nel suo primo viaggio in Europa dopo 24 anni la leader ha fatto ieri tappa in Norvegia, dove ha ricevuto, davanti ad una numerosa e commossa platea, tutta in piedi in segno di omaggio e rispetto verso questa piccola, grande donna, – il Nobel per la Pace direttamente dalle mani del responsabile del Comitato, Thorbjorn Jagland, che l’ha definita “un dono prezioso per tutta la comunità mondiale” e l’ha ringraziata “la sua tenacia e la sua forza. La sua intera vita – ha proseguito – e’ un messaggio a tutti noi a noi sottostare mai ad alcuna violenza. Nel suo isolamento lei e’ diventata la coscienza morale di tutto il mondo”.


“Questo premio Nobel ha aperto una porta nel mio cuore” ha ringraziato commossa la leader del Aung San Suu Kyimovimento non violento, ricordando come in quegli anni bui di isolamento il premio l’abbia fatta sentire “di nuovo un essere umano” e le abbia permesso di ampliare le sue preoccupazioni “per la democrazia e i diritti umani al di là dei confini nazionali”. Il suo pensiero è andato poi alla Birmania, dove solo pochi giorni prima della sua partenza, nella parte occidentale del paese, sono riprese le violente ostilità; malgrado questo però, ha invitato il mondo a non perdere di vista l’obiettivo della pace assoluta, “un obiettivo irraggiungibile, ma dobbiamo continuare a perseguirlo come un viaggiatore nel deserto tiene fissa una stella come punto di riferimento”.


Lei, da parte sua, continua a farlo: ha devoluto tutto il denaro ricevuto con il premio per la creazione di programmi scolastici per i giovani birmani, continua a lavorare attivamente con il suo partito, la Lega Nazionale per la Democrazia, per la riconciliazione in Birmania e ha lanciato un appello per chiedere a gran voce il rilascio incondizionato di tutti i prigionieri politici del paese – “Ci sono ancora tanti detenuti in Birmania – ha ricordato – e abbiamo paura che il mondo si scordi di loro, dopo che i più noti sono stati rilasciati”; non sono mancati, nel suo discorso, un cenno agli oltre 100 mila rifugiati e due milioni di lavoratori birmani in Thailandia incontrati due settimane fa e una critica al calo delle donazioni internazionali verso le varie organizzazioni che assistono rifugiati e lavoratori birmani sfruttati. Il suo discorso si è concluso con un invito gli impellicciati e distinti investitori occidentali accorsi ad applaudirla, ad attivarsi in prima persona per investire nel suo meraviglioso paese.


La forza della sua voce, l’incrollabile fede nelle sue idee, la crudezza delle sue parole, le durezze di una lotta pacifica contro le guerre sanguinarie a cui ha assistito scritte in ogni piccola piega del suo viso da bambina cresciuta troppo in fretta, l’hanno fatta sembrare, lei così minuta, con la voce così sottile e i capelli ingrigiti, un gigante davanti al mondo intero.



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