La morte: un punto o una virgola?

18 Dicembre 2012
Laura Elisa Rosato
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La morte: un punto o una virgola? Valeriu Butulescu, Aforismi, 2002

maschera696

Qualche anno fa ho trovato questo articolo su una rivista, ho strappato la pagina e l’ho conservata, rileggendola più volte. L’ho portata con me ovunque, in tasca, nel portafogli, in borsa; è finita anche per sbaglio in lavatrice! Prima che non sia più leggibile la condivido, perchè mi è stata utile, molto utile e mi auguro che lo sia anche per qualcun altro. Purtroppo mancano un pò di dettagli come il nome dell’autore che, se dovesse riconoscersi in questo scritto, invito a farlo presente in modo che possa ringraziarlo/a personalmente e citarlo/a.


La morte di chi amiamo ci fa morire. E la morte di chi amiamo ci fa rinascere. A questo pensiero sono giunta dopo due anni di dolore, anni,come dicono gli psichiatri di “elaborazione del lutto“. Ma la parola elaborazione, così asettica e razionale, non rende l’idea di ciò che chiamerei piuttosto un travaglio. Un dolore fisico, estremo, totale, che assale il corpo e l’anima come un’onda. Ma anche perchè è un vero lavoro che assorbe energie, giorno dopo giorno, notte dopo notte. Ti abbandona e ti riprende, va e ritorna, sembra sparire e poi improvvisamente è ancora lì, come fa l’oceano quando c’è l’alta marea. e tu devi piegarti, lasciarti attraversare dalla sofferenza, aspettando che arrivi la risacca.

Accanto ed insieme al travaglio fisico, tanto violento da rendere le persone in lutto più vulnerabili alle malattie– perchè le difese immunitarie si abbassano, non ci si prende cura di sè, nè della propria salute– c’è il travaglio psicologico.

La mente attraversa tempeste emotive continue e cerca di sopravvivere come può. Impara a navigare a vista, a cucire un minuto dopo l’altro. E attraversa più fasi:all’inizio vive un ottundimento profondo. Hai preso un colpo in testa e, come quando ti fai male, passa un pò di tempo prima che tu avverta la botta.

Lo choc e lo stordimento iniziale si accompagnano alla negazione dell’evento” dice la psicoterapeuta Franca Castelnuovo, che si occupa di questo argomento insieme alla Lega Italiana Tumori allo IEO. ” O meglio, la mente sa cosa è accaduto, la parte emotiva lo rifiuta“. Arriva poi la disperazione, pura, assoluta, inconsolabile, ” che può durare molti mesi e si mescola a sentimenti di rabbia e di depressione. E’ una fase di grande sofferenza, durante la quale ci si chiude in se stessi e si perde qualunque interesse per la vita“.

E’ il periodo in cui non sai come rimanere a galla. Ti costa una fatica immensa alzarti al mattino, lavorare, cucinare, occuparti dei figli. Non hai voglia di vestirti, di pensare a te, di andare al cinema, di uscire a cena. Per reggere ti fai di ansiolitici, di sonniferi, di sigarette. Oppure ti ubriachi di alcool, superlavoro o qualsiasi cosa ti aiuti a sopportare il vuoto e la nostalgia. In realtà “ le energie si concentrano nel processo di accettazione della perdita” spiega la psicoterapeuta Lucia Floridia, anch’essa specializzata nel supporto a chi è in lutto per la LILT e per la Fondazione Floriani. ” Un’accettazione che passa attraverso il distacco progressivo dalla materialità della relazione. Il corpo, il contatto fisico, la voce, gli sguardi, ma anche gli oggetti e gli abiti, da cui ci si separa come in un rito di passaggio“.

Finchè qualcosa cambia e integri il ricordo in un presente meno doloroso. ” Piano piano si procede verso la risoluzione del lutto. Si riprende gradualmente il contatto con la vita e si trovano nuovi obiettivi. Una persona cara è di per sè un elemento fondamentale per per orientare mete e scelte. Ora si riorganizzano interessi e pensieri in nuove direzioni.” continua la Dott.ssa Castelnuovo ” Se la struttura psichica è più delicata, si rimane imprigionati in un lutto semi-elaborato, in un male di vivere fatto di rimpianti e malinconia. Il dolore, invece può servire a scoprire la propria anima, a percepire una dimensione di sè più alta, che tende all’infinito“. Ed è vero.

Quando stai meglio ti volti indietro e inizi a riflettere su ciò che hai vissuto. Come un pescatore tornato in porto, guardi le reti e ti accorgi con stupore che non sono vuote. Perchè la morte spezza il tempo e fa da spartiacque: c’è un prima e un dopo. Non sarai mai più la stessa persona. Con chi hai amato muore per sempre ciò che sei stato fino ad allora. Perdi un’identità che si connotava anche attraverso lei o lui. Ne acquisisci un’altra però. Più forte e più fragile, più dura e più dolce. Più complessa. Certamente più profonda e forse migliore.

COSA HO IMPARATO

  • Ho imparato che bisogna dire sì al dolore. Non serve a nulla contrastarlo, resistergli, combatterlo. E’ un fiume che tocca guadare. Non c’è scelta. Più si resiste alla corrente e più a lungo dura l’elaborazione. Più ci si nuota dentro, più velocemente si giunge sull’altra riva. Bagnati fradici, infreddoliti, ma interi.
  • Ho imparato che il lutto ci trasforma anche fisicamente. Si stenta ad addormentarsi e ci si sveglia all’alba, si digrignano i denti mentre si dorme, si mangia molto di meno o molto di più, si hanno dolori migranti, tachicardia, attacchi d’ansia. Tutti sintomi normali che con il tempo diminuiscono fino a sparire.
  • Ho imparato che Eros e Tanathos si sovrappongono e si elidono. Si può avere per mesi la libido azzerata, non aver voglia di fare l’amore o sentirsi in colpa quando lo si fa. Essenziali il calore, le coccole e la mano di chi ti vuole bene nella tua. Ho imparato a non giudicare chi è in lutto. Ogni comportamento è lecito, se utile ad uscirne: si può piangere tutti i giorni o non piangere mai, si può ridere anche se si sta malissimo, si possono prendere gli antidepressivi senza per questo sentirsi deboli, si può decidere di partire per un viaggio, si può riscoprire la passione per la musica o la pittura, praticare la meditazione, pregare, adottare un animale, ci si può innamorare. Si può.
  • Ho imparato a chiedere aiuto. Il sostegno degli altri è fondamentale per guarire dal dolore. E’ essenziale circondarsi dei propri amici, che ti accolgano quando vorresti solo buttarti nel cestino dei rifiuti. Che accolgano le tue telefonate, i tuoi silenzi, i tuoi pianti. Che non abbiano paura di ciò che ti è accaduto.
  • Ho imparato a non lamentarmi. Perchè ci sono sempre persone che hanno vite più difficili della tua. E perchè non ti puoi comportare da vittima all’infinito. Stare nel dolore è un conto, crogiolarsi un altro. Ho imparato che non ci sono risposte, ho accettato di NON capire. Ho accolto il vuoto, il silenzio, la solitudine come parti dell’esistenza. Ho imparato a non sentirmi in colpa perchè sono viva. E’ forse lo scoglio più difficile da superare. Superi il fatto di sentirti abbandonato/a e tradito/a da chi non c’è più, superi la rabbia contro il destino, superi l’angoscia di fronte al mistero della morte ma fai fatica ad integrare l’idea che hai diritto ad essere ancora felice.
  • Ho imparato a sentire l’amore che circola tra gli esseri umani, che dà senso alla nostra esistenza: la sostanza di cui siamo fatti.

Gruppi di auto-aiuto per condividere e superare la fase del lutto insieme a chi attraversa le stesse emozioni: automutuoaiuto.com e gruppoeventi.it oppure , se occorre rivolgersi ad una psicoterapeuta, qui trovate le strutture adeguate, comprese quelle che offrono sedute gratuite: Fondazione Floriani (02.6261111) o alla LILT (800.998877) promuovono gli incontri.

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