Razzismo: scoperta l'area del cervello che lo determina?

30 Gennaio 2013
Cristiano Nesta
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Il neuropsicologo dell’Università di Ginevra Tobias Brosch ha recentemente dichiarato che per determinare un “individuo razzista”, basta “fotografare” il suo cervello. La fotografia in questione è in realtà una tecnica diagnostica che misura le variazioni di ossigenazione del sangue mentre siamo impegnati nelle più varie attività e porta il nome specifico di risonanza magnetica funzionale.

razzismoSeguendo questo percorso – racconta Elena Dusi di Repubblica – il neuropsicologo ha mostrato ai suoi volontari delle immagini di individui con colori della pelle differenti e ha osservato quali aree si “accendevano”, identificando quindi le zone del cervello che giustificherebbero la propensione al razzismo.

«La diversa attività cerebrale – scrive Brosch su Psychological Science – registrata nell’osservazione di persone bianche o nere è nettamente più marcata nei soggetti razzisti che non nelle persone senza pregiudizi».

La “scoperta dell’area del razzismo” – Brosch e le sue intuizioni arrivano a vent’anni dall’introduzione della risonanza magnetica funzionale per scopi scientifici. In questo periodo, è stato diffuso un dossier in cui un gruppo di neuropsichiatri, che quotidianamente fanno uso di questa tecnica, cerca di fare il punto sulla situazione. «Una tecnica – si legge sul rapporto Perspectives on Psychological Scienceche ha permesso di capire meglio come il cervello invecchia, e di cercare una strada per misurare il dolore. Ma a molte altre domande la risonanza magnetica non riesce ancora a dare una risposta».

Vi lasciamo con la riflessione della giornalista di Repubblica: Un atto di violenza motivata da razzismo – non è escluso che sostenga un giorno un avvocato difensore – può essere causato dalla particolare conformazione del cervello dell’imputato. Alla biologia, dunque, e non al libero arbitrio, può essere imputato un delitto. Un paradosso simile, in tribunale, si è già verificato. Nel 2008 una corte indiana condannò per omicidio una ragazza di 24 anni sulla base dei dati del suo encefalogramma. L’attività del cervello, registrata mentre alla ragazza venivano descritte le sequenze del delitto, aveva secondo i giudici confermato la sua colpevolezza. Nel 2004 l’Accademia dei radiologi americani aveva accettato la sperimentazione della risonanza magnetica come una sorta di “macchina della verità” nei tribunali.

Scienza o fantascienza? Sicuramente sarà polemica.

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