Miss Mykela, mille stili in una sola voce

6 Febbraio 2013
Marco Miggiano
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mykela okDi lei abbiamo già parlato indirettamente in due precedenti interviste pubblicate sempre su YOUng. In una abbiamo conosciuto il dub senza confini dei Fukada Tree, con i quali ha collaborato per il pezzo “Clementine”. Nell’altra, i salentini Insintesi Dub ci hanno fatto scoprire la facilità con cui hanno raccontato il Salento popolare e contadino tramite gli echi, i diley ma soprattutto con l’aiuto delle stupende voci di alcune tra le migliori cantanti della tradizione salentina.
Una di loro è proprio la protagonista dell’intervista che segue, ovvero Miss Mykela, artista poliedrica che da più di dieci anni interpreta e sperimenta sonorità sempre diverse tra loro senza mai perdere quella forza ed quell’esplosività che la contraddistinguono.

Il tuo primo disco da solista è in uscita per la prossima primavera. Sarà prodotto da una sicurezza della musica reggae italiana, Don Ciccio, storico dj e produttore. L’etichetta discografica sarà, ovviamente, la Love University Records. Attese? Ansie? Sogni? Speranze?

E’ normale essere in ansia, sarebbe preoccupante se non fosse così, credo sia una condizione necessaria mista però al piacere di fare una cosa che ami, cioè la musica, ma sai anche che dall’altra parte ci sono delle attese e non sono solo le tue. Ogni cosa che scrivi parla di te e io che sono una persona ricca di sfaccettature musicali, devo in questo disco cercare di rendere al 100% in tutti quanti gli stili dei pezzi che il disco contiene e che rappresenta una visione per me fondamentale della musica a 360 gradi. Quindi l’attesa e la speranza in questo mio lavoro è ovviamente quella di riuscire a soddisfare questa esigenza, mia e sicuramente di chi mi conosce e che ha sempre creduto in me, dalla mia etichetta ai miei colleghi ai miei amici e le persone che mi seguono, che sono una grandissima forza e linfa vitale, pura energia, che posso toccare con mano ad ogni serata.

“We Ladies” è, invece, già una realtà. E’ in circolazione dal giugno del 2012 ed è nato in collaborazione con una delle migliori voci che il reggae italiano abbia forse mai espresso, Mama Marjas. Non solo, il lavoro, è stato prodotto da Adrian Sherwood presso l’On U Sound Studio di Londra, anche in questo caso in assoluto uno dei migliori produttori di musica dub, attivo già dagli anni ottanta. Sul palco, insieme a voi, la band londinese delle Sista, altro nome fondamentale del panorama reggae internazionale. Per te quanto è stato importante essere la protagonista di questo progetto che, nato in Puglia, ha subito varcato i confini internazionali?

Questo progetto è stato molto strano per me all’inizio. Nascendo come cantante sull’elettronica anni fa, non avrei mai pensato che il mio primo disco sarebbe stato un disco roots rock reggae. Ma come al mio solito, accetto sempre tutte le sfide e mi sono ritrovata ad essere veramente felice di questa esperienza. Aver ricevuto conferme specialmente da molti addetti ai lavori, è una grande soddisfazione. Ma quando grazie ad un progetto riesci a varcare le soglie del tuo paese e collabori oltre che con la tua compagna di palco e amica nella vita Maria, anche con un personaggio storico come l’hai ben definito tu, Adrian Sherwood e hai la possibilità di stare sul palco con una band altrettanto storica come le Sista, allora vuol dire che hai fatto un buon lavoro. Non c’è soddisfazione più grande.

Insintesi Dub è un altro progetto, prettamente salentino, con il quale collabori da sempre, già sul finire degli anni ‘90. Li ho intervistati qualche mese fa sempre su you-ng.it, cercando di raccontare con quale abilità riuscissero a narrare quel Salento popolare, tradizionale e contadino che spesso si nasconde dietro i grandi eventi estivi, ma che è alla base di tutto ciò che si suona e si balla nel tacco d’Italia. Un lavoro musicale certo, ma anche e soprattutto di ricerca storica, antropologica e culturale, che ha avuto la bravura di trovare la giusta combinazione tra le storie dei nostri nonni e il suono di un basso tipicamente dub. Se una raccoglitrice di tabacco di un tempo ascoltasse “Pizzicarella dub”, come reagirebbe?

Sono del parere che ogni volta che si mette mano alla tradizione, bisogna sempre saperlo fare. Francesco e Alessandro hanno coinvolto nel loro percorso alcune delle migliori voci del panorama musicale salentino, ottenendo un risultato di “rivisitazione” della tradizione nel pieno rispetto delle sue radici ed è quello che credo si evinca da “Pizzicarella Dub”, che a quanto so, è stata apprezzata dai fruitori del genere, nella quale c’è un ampio respiro tradizionale con la voce di Maria Mazzotta, intervallato dai miei interventi raggamuffin, che sono poi una rappresentazione di un altro aspetto musicale della nostra terra, grazie specialmente all’uso del dialetto. Non so come reagirebbe una raccoglitrice di tabacco di un tempo, ma sicuramente non rimarrebbe indifferente. Basta avere una buona apertura mentale e capire che la sperimentazione, se fatta in un modo “produttivo” e “rispettoso” è solo una ricchezza in più.

Una fusione di stili che ritroviamo anche andando un po’ più indietro negli anni, quando in Salento forse tutto ebbe inizio. Qualcuno afferma che il termine “Tarantamuffin” sia stato coniato addirittura dal filosofo ed etnomusicologo George Lapassade; molto probabilmente sarà stato utilizzato per la prima volta da qualcuno dei Sud Sound System dei primi anni. Ma la fusione tra la taranta e il raggamuffin ha sicuramente segnato e dato una forte scossa a quello che viene chiamato il “rinascimento salentino”, consacrato poi dalla Notte della Taranta a Melpignano a fine agosto dove artisti da ogni parte del mondo reinterpretano la tradizione popolare leccese. Ha senso, quindi, secondo te parlare di “rinascimento salentino” in questi termini?

Dic
iamo che in parte ti ho già risposto nella domanda precedente, le cose devono essere fatte sempre nel rispetto della tradizione. Questo argomento mi fa pensare al libro di Pierfrancesco Pacoda “Salento Amore mio”. La rivisitazione della tradizione mista al reggae della nostra terra ha dato sicuramente più ampio respiro alla nostra cultura locale, rendendola ancora più unica, mostrandola al mondo in una veste diversa, non più unidimensionale di pura e semplice “musica tradizionale”, da qui si nota una grande apertura mentale della gente della mia terra, che ha saputo accettare la sfida senza pregiudizio, il vecchio col nuovo, come mi facevi notare prima. Anche se non bisogna lasciarsi sopraffare dalla massificazione di un fenomeno, specialmente quando si tratta di tradizione che è un aspetto fondamentale per il territorio. In questo caso, i promotori de La Notte della Taranta e di qualsiasi altro evento, hanno il dovere di non snaturare mai questo patrimonio, diventando essi stessi garanti di un tesoro che col tempo potrebbe andare perso se certi meccanismi dovessero diventare vittima di un business incontrollato, come purtroppo spesso accade.Solo se si rispettano questi parametri, credo si possa dare il giusto senso all’espressione “rinascimento salentino”.

Nella tua biografia c’è scritto che spazi con massima libertà fra diversi generi musicali come reggae, drum and bass, dub, jungle, riuscendo sempre a non sfigurare mai davanti a nessun stile e per dire questo non serve certamente una biografia, ma basta vedere un tuo show case o dj set. Ma nonostante ciò c’è sempre un inizio, un attimo in cui si viene rapiti da una nota, da una melodia, da un qualcosa che sarà presente per tutta la vita. Per te qual è stato?

Un giorno Maria mi disse “Tu sei nata sull’elettronica, ma il reggae ha cambiato la tua vita”. Mai frase più azzeccata! Il reggae è parte di me. Lo sento come una condizione necessaria vivendo in Salento. Sapevo che prima o poi mi sarei dovuta confrontare con questo genere nella mia ricerca musicale continua e sapevo che una volta incontrato me ne sarei innamorata. Ma non posso negare che le mie radici affondano nei beat acidi del trip hop e in un elettronica di matrice prettamente non italiana. Anche se credo di vestire bene i panni del reggae, la disinvoltura e la spontaneità che viene fuori quando sono su di un palco è particolarmente evidente nei dj set più elettronici e credo che sarà così per sempre. Se dobbiamo parlare di quella scintilla che ha dato seguito a tutto quello che sono io oggi, credo che sia stata particolarmente importante per me l’intera discografia dei Massive Attack, le produzioni di Roni Size, A Guy Called Gerald, Congo Natty, Bjork , K&D e potrei continuare questa lista all’infinito. Possiamo parlare di una lunga serie di scintille che man mano che andavo avanti con i miei ascolti, mi hanno fatto capire che la strada da percorrere era quella!

In dialetto salentino, correggimi se sbaglio, “stare alla mantagnata” significa mettersi al riparo, nascondersi dal vento. Ogni anno in estate il Salento viene invaso, a volte deturpato, anche derubato di quella solitudine mistica che forse è la vera essenza affascinante del Salento stesso. Esiste ancora un Salento “alla mantagnata”?

Ho la fortuna immensa di vivere in una terra baciata dal sole e dal mare.Un posto bellissimo in cui desideri tornare ogni volta che sei lontano. E’ il richiamo della tua terra. E quando la tua terra è bella non solo per te, ma anche per gli altri, è facile ritrovarsi in un posto che specialmente in determinati periodi dell’anno, come l’Estate, diventa veramente stretta per chi ci vive e per chi arriva da fuori. Sono veramente pochi i posti in cui il Salento ha conservato la sua solitudine e la sua naturale tranquillità. Ma è un po’ la condanna di tutti i posti belli che entrano nel vortice della macchina del turismo. Io personalmente ho i miei posti “al riparo”, quelli in cui vado a rifugiarmi per ascoltare il suono del mare in silenzio o il rumore delle cicale senza quello dei motori delle auto o il vociare della gente. Ma gradirei particolarmente più rispetto per una cosa che negli ultimi anni ha avuto un peggioramento considerevole. Parlo del “deturpamento” del paesaggio. Piattaforme di cemento che dovrebbero aumentare il business del turismo, lo sbancamento delle dune per creare accessi “privati” sulle spiagge, rocce e scogli che vengono frammentati per farsi “i bagni di argilla” e ne potrei elencare tante altre che sono sia atti ad opera degli ospiti “turisti” e ahimè ancora più grave, opera dei salentini stessi. Bisogna essere gelosi e rispettosi della propria terra.

Per concludere, finiscila tu questa intervista, nella maniera che preferisci.

Innanzitutto grazie mille per lo spazio che mi hai dedicato. E’ importante per me lanciare a questo punto un messaggio che è oramai una sorta di rito ogni volta che ne ho occasione, cioè l’invito a vivere la musica a 360 gradi, amarla e rispettarla, di qualsiasi genere si tratti. Può piacere o non piacere ma non bisogna mai trattare un genere con discriminazione, piuttosto bisogna dare peso ai messaggi e al significato che può assumere a opera di artisti e cantanti, che si devono sempre adoperare affinché grazie alla musica si possano lanciare messaggi di amore e positività, di coraggio, di coesione e coscienza sociale!! Stare su di un palco e parlare alla gente è un grande dono! E personalmente ringrazio il cielo ogni volta che sono lì e mi auguro di continuare ancora per tanto tanto tempo!

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