L'intervista: il rock e le belle speranze di Ed Ward

13 Febbraio 2013
Veronica Valli
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edwardRoma è una città che ha sempre sfornato ottimi cantautori. Dopo la generazione che ha visto protagonisti musicisti come Max Gazzè, Daniele Silvestri e Niccolò Fabi, a loro se ne è avvicendata una dalle sonorità più indie e sicuramente dal respiro più internazionale. L’ultimo, non per ordine di importanza, è Ed Ward, al secolo Edoardo Santini, di origini scozzesi ma nato e cresciuto nella capitale. La sua musica ricorda a tratti The Niro (suo concittadino, nonché collega), a tratti i Mumoford and Sons, benché abbia comunque un’identità precisa e del tutto personale. Lo abbiamo incontrato in esclusiva per i lettori di Young e questo e quello che ci ha raccontato.

Chi è Ed Ward? Presentati con parole tue ai nostri lettori.

Ed Ward, all’anagrafe Edoardo Santini, 25 anni: di origini scozzesi, sono
nato e cresciuto a Roma. Mi sono avvicinato alla musica da bambino, a sei o sette
anni, prima al piano poi alla chitarra, anche se ho cominciato a scrivere e
comporre molto più in là, durante gli ultimi anni di liceo. Dopo aver fatto
parte di un gruppo fino a poco più di un anno fa, ho deciso di cominciare a
suonare e comporre per conto mio, in inglese, ispirandomi per lo più al
panorama musicale anglosassone e cercando di tirare fuori qualcosa di
originale..se ci sono riuscito, ancora non lo so!

Chi sono gli artisti che ti ispirano? E i tuoi modelli?

Qui la faccenda è abbastanza complessa, nel senso che mi riesce difficile
parlare di ispirazione..ascolto musica di ogni genere e, prima di
concentrarmi su quello che sto facendo ora (che ha molto a che fare con il folk,
l’acustico e il pop inglese), ho suonato e scritto cose molto diverse. Diciamo che è da
poco che mi sono finalmente riconosciuto in un “genere”, un sound in
generale. Cose stravaganti a parte e senza andare troppo indietro nel tempo, continuo a
preferire le idee semplici e più dirette possibili: Travis, Mumford&Sons,
Edward Sharpe and The Magnetic Zeros, Paolo Nutini, Beirut, Ben Harper.


Qual è il processo creativo della tua musica? Cioè, come nasce una tua
canzone?

Di solito mi piace scrivere abbastanza velocemente, direi quasi “al volo”.
Parlo della musica, della struttura della canzone. Se comincio a suonare ed
esce qualcosa di buono di solito finisco il pezzo in giornata e comincio già
a pensare all’arrangiamento. Le parole vengo molto dopo, e attraverso un
processo non proprio lineare. E’ il tema musicale dominante a suggerirmi l’idea di
fondo del pezzo, mai il contrario. Lavorando in questo modo, al rovescio diciamo, è
un po’ come interpretare il brano a posteriori. Cerco di capire il senso
generale della musica come se non venisse da me, ma da fuori. La suono e la
risuono, in automatico, e cerco di ascoltarla come con un altro paio di
orecchie, infondo il bello per me è proprio questo: suonare e scrivere come
se stessi sempre suonando e scrivendo qualcosa di un altro. Sarebbe un discorso
lungo ma è più semplice di quello che sembra..Comunque, per continuare con
l’arrangiamento mi basta questa semplice idea di fondo. Il testo definitivo
lo scrivo quando ormai il pezzo è praticamente chiuso..Certo, ci sono state
delle eccezioni, certe volte ho scritto con un’idea già chiara fin dall’inizio,
anche il testo. SHIVERS è nata così, appena sveglio, neanche preso il caffè,
fumato, niente. Mi sono alzato con la chitarra già in mano e l’idea di scrivere una
canzone leggera, semplice, stupida come la ragazza del testo.

In rete ci sono alcuni tuoi singoli ma stai lavorando ad un disco? Ci dai
qualche anticipazione?

Sì, l’idea del disco c’è, e i brani fortunatamente non mancano. Da quando ho
cominciato a suonare, anche in gruppo, ho sempre scritto moltissimo. Sto
cercando di raccogliere pezzi vecchi e nuovi e il difficile sta solo nel
riuscire a dare al tutto un sound uniforme, riconoscibile. Per fortuna la
produzione e i musicisti con cui suono non fanno che aiutarmi e facilitarmi
in tutto, sono persone fantastiche e ottimi professionisti. I singoli che già
sono su internet saranno presenti nel disco e comunque, per chi volesse farsi
un’idea, credo che rendano bene il senso di quello che faccio..in ogni caso
il disco sarà pronto entro l’estate e saranno 12 brani…forse qualcosa in più..

A proposito della rete, molti gruppi in passato hanno beneficiato di
social network come Myspace per raggiungere la fama; quanto pensi che al
giorno d’oggi, possano aiutare un cantautore o una band ad emergere?

All’inizio queste cose non le reggevo, detestavo i social network e i
concetti stessi di “comunità virtuale”, “bacheca” eccetera…non ne capivo l’uso e ne
sottovalutavo le potenzialità..ma per la musica o qualunque altro tipo di
attività riconosco che le piattaforme come myspace, facebook, youtube e
simili siano fondamentali. Certo, non sono i siti a fare la differenza nel farsi
conoscere: prima di tutto devi saper fare quello che fai…poi devi farlo,
nella realtà intendo. Soltanto a quel punto internet ha un senso. Può e
spesso riesce a creare un varco attraverso cui i progetti e le idee possano
circolare liberamente.

C’è qualcuno dei tuoi colleghi, emergenti o più famosi, che apprezzi e
con cui vorresti collaborare?

Facendo musica in inglese nel mio caso non è facile. Le cose che ascolto e da
cui mi sento attratto vengono quasi sempre da fuori. In Italia ci sono
artisti e gruppi che mi piacciono moltissimo e fanno le cose più disparate (passo dai
Verdena a Mannarino a tutta una schiera di gruppi praticamente sconosciuti)
ma la questione di fondo è che effettivamente non ho legami forti con la musica
italiana e ho sempre la sensazione di stare facendo un’altra cosa. Se dovessi
mai pensare a una collaborazione la vedrei sempre orientata verso l’estero,
anche se credo che sia un po’ presto per pensarci. Prima di tutto devo finire
il disco e proseguire col tour quest’estate..suon
are molto, scrivere, vedere

che succede.

Domanda canonica: progetti per il futuro?

Andare fuori. Restarci.

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