Stephen Hawking: Dai buchi neri si può sfuggire

25 Gennaio 2014
Giovanni Pili
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Non esistono buchi neri, non nel senso in cui li intendevamo. Adesso chi ci va a dirglielo?

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Stephen Hawking sostiene che bisogna rivedere il concetto di orizzonte degli eventi, ovvero di quel confine attorno al buco nero oltre il quale niente può tornare indietro. Secondo la teoria classica nulla potrebbe sfuggire alla sua attrazione se si trovasse a debita distanza. Ma ragionando in termini quantistici non sarebbe esattamente così. Qualche particella potrebbe uscire dall’orizzonte degli eventi. La definizione più corretta, secondo il grande fisico, dovrebbe essere allora quella di orizzonte apparente, dove materia ed energia rimangono prigionieri per poi essere rilasciate, anche se in una forma più «confusa».

Effettivamente sono state studiate emissioni di energia provenienti dai buchi neri, che si spiegano solo con la teoria quantistica. Ma per avere una spiegazione coerente di cosa effettivamente sia un buco nero ci vorrebbe una teoria del tutto; ovvero che riesca a spiegare tanto la Relatività di Einstein quanto le leggi fisiche scoperte dai grandi pionieri della quantistica (che comunque esiste grazie alle scoperte di Einstein e Planck); Bohr, Heisenberg e Schroedinger. Non tutti sono convinti che la risposta sia nella Teoria delle Stringhe (letteralmente delle “corde”); per far tornare i conti hanno dovuto inventarsi 7 nuove dimensioni, che noi non vedremmo in quanto piegate su se stesse. Tra i grandi scettici di questo modello unificatore ricordiamo Margherita Hack.

Su Nature potete trovare una relazione dettagliata, con tanto di podcast riguardo questo nuovo dibattito aperto da Hawking. Uno dei principali problemi che i fisici si pongono di risolvere è il Paradosso del buco nero. L’orizzonte degli eventi è una conseguenza della Teoria della Relatività, la cui esistenza era stata infatti dedotta dall’astronomo tedesco Karl Schwarzschild in una lettera ad Einstein, nel 1915. Se un astronauta finisse oltre l’orizzonte verrebbe disteso lungo la strada come uno spaghetto eppoi schiacciato nella singolarità infinitamente densa che rappresenta il buco nero. La quantistica invece ci spiega che le particelle – costituenti anche il corpo dell’ipotetico astronauta – non dovrebbero seguire questo iter. L’astronauta dovrebbe finire infatti arrostito.

Non andate a fare le vostre vacanze vicino ad un orizzonte degli eventi: Secondo Einstein vi annoierete all’infinito; secondo i fisici quantistici l’arrosto nel menù sarete voi.

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Il firewall di energia previsto dalla quantistica, che arrostirebbe il povero astronauta, non è concepibile dalla teoria della “relatività”. Hawking suppone quindi che l’errore stia proprio nel postulare questo orizzonte. Così meccanica quantistica e la relatività generale rimarrebbero intatte.

Gli effetti quantistici attorno a questo “buco” nello spazio, lo farebbero fluttuare troppo selvaggiamente per permettergli di esistere. Oppure esisterebbero tanto l’orizzonte degli eventi, quanto quello apparente. Se qualcosa viene inghiottito dal buco nero, il suo orizzonte si gonfia e cresce oltre le dimensioni di quello apparente. Sono dinamiche le quali permetterebbero di far quadrare i conti. Già nel 1970 Hawking aveva mostrato che i buchi neri possono ridursi lentamente, vomitando quelle che oggi vengono chiamate Radiazioni di Hawking. In questo caso, l’orizzonte degli eventi si ridurrebbe rispetto a quello apparente.

Inutile provare anche solo a capire i calcoli che portano a questi ragionamenti. Sta il fatto che queste nuove teorie permetterebbero di sfuggire all’attrazione del buco nero, uscendovi. Particolare che potrebbe aiutarci a studiare meglio questi “mostri cosmici”.

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