Lo strano caso di Nymphomaniac – Una recensione

10 Aprile 2014
Veronica Valli
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E’ sempre una tristezza quando ci si addormenta al cinema. Può essere considerato lecito se si è stanchi e magari si sta accompagnando il proprio fidanzato (o compare) a vedere “Fast and Furious” o i propri cuginetti per l’ultimo film Disney. Ma se si cade in coma profondo davanti a “Nymphomaniac”, il mitico, grandemente discusso, apprezzatissimo ultimo film di Lars Von Trier, c’è qualcosa che non va.

UNA LENTEZZA SOPORIFERA – Non chiamatemi ignorante o blasfema: adoro Lars. Lo scoprì nel 2000, a soli 14 anni, quando rimasi folgorata da “Dancer in the Dark”. Da allora non mi ha mai deluso (forse un po’ ne “Il grande capo”) e visto quanto si era parlato di questa sua nuova opera con la quale era pronto a sconvolgere le menti del pubblico, guardavo a “Nymphomaniac” con fare positivo e molto speranzoso. A dir la verità non erano le millantate scene di sesso esplicito ad attrarmi, anche perché quello non fa più notizia, speravo in una storia più intrigante, in un sostrato maggiore di perversione e invece mi sono trovata davanti a la solita boiata (per non dire altro).

LA STORIA – Come oramai già si sa, la trama ruota attorno alle vicende della giovane Joe e della scoperta della sua sessualità, dall’infanzia all’età adulta. La Joe adulta, interpretata da Charlotte Gainsbourg, racconta la sua vicenda all’anziano Seligman (Stellan Skarsgard), anche lui dall’aria talvolta annoiata, che si rivela essere il personaggio più acuto e forse più riuscito del film. Nel film si vede la giovane Joe (inspiegabilmente interpretata da Stacy Martin, molto più carina della buona Charlotte, a cui comunque non somiglia affatto) e la sua escalation nella libertà sessuale, saltellando da un letto all’altro senza soluzione di continuità, il tutto condito da scene di sesso sì esplicito ma non troppo esaltante. Ma nel marasma di questi effluvi c’è spazio anche per l’amore, chiaramente piuttosto burrascoso, anche perché quando sembra che l’happy ending sia alle porte, la povera Joe si accorge di non provare più nulla, come ogni ninfomane che si rispetti. E si sbadiglia, disperando di poter giungere alla conclusione di una vicenda che alla fine sembra non avere né capo né coda.

SBADIGLI E POP CORN – Dopo aver affogato i dispiaceri e la noia di questo film nei pop-corn, appare più chiara la scelta di Shia LaBeouf (che interpreta l’amore giovanile di Joe) di comparire con un sacchetto di carta in testa con su scritto “Non sono più famoso” allo scorso Festival di Berlino. Quanti hanno amato il film e hanno riflettuto sulle tematiche dell’erotismo in esso presenti probabilmente non si troveranno d’accordo con questa mia recensione e ne hanno tutto il diritto ma a loro consiglio soltanto di vedere “Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pier Paolo Pasolini (film del 1975, badate). Poi ne riparliamo.

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