La rivincita dell'ulivo pugliese
A volere essere precisi, quella degli ulivi, più che una rivincita sembra il dispetto finale, l’estremo sacrificio per punire e svegliare coloro che dovevano prendersene cura e invece li hanno usati solo come un bancomat.
Si perchè in Puglia gli ulivi per anni hanno fruttato di più da abbandonati che da coltivati. Perchè se si possiedono alberi di ulivo si ha diritto a riscuotere delle integrazioni, aiuti comunitari stanziati con cadenza annuale. Molti imprenditori, quando le integrazioni erano proporzionali al numero degli alberi, hanno piantato uliveti cosí fitti che sembrano quasi vigneti, li hanno messi lí e non se ne sono mai curati. A prendersi cura degli alberi si spendono soldi e poi quando raccogli le olive te le pagano una fame, non conviene.
Anche tantissimi piccoli proprietari hanno abbandonato questi alberi per millenni cosí importanti, riscuotendo l’integrazione e considerandola un frutto dell’uliveto.
Ora questi stanno guardando i loro alberi-che-fruttavano-senza-frutto eradicati, perchè stanno morendo. Non per colpa di un batterio Killer, ma per colpa dei funghi, delle marciscenze che questi incentivano e in linea generale per l’assenza di buone pratiche agricole.
Come sostiene Franco Bianco, esperto naturalista salentino
una volta, quelle che ora vengono definite da alcuni “le buone pratiche”, erano le uniche pratiche usate per prendersi cura di alberi il cui frutto veniva apprezzato e venerato. Gli alberi di olivo hanno dato molto agli uomini e chiesto in cambio solo poche accortezze: una potatura rispettosa, un aratina leggera almeno un paio di volte all’anno e, al bisogno, qualche colpetto d’ascia nel punto giusto. Nel passato esistevano maestri d’esca che con un’ascia affilatissima curavano il tronco dell’ulivo dalle piccole marciscenze, liberandolo dalle colonie di insetti che piano piano lo avrebbero fatto ammalare. Presto dopo la monda, quando si ripuliva un uliveto da rametti e foglie secche, questi si incenerivano con una tecnica gentile, che non bruciava il suolo e la vita dei suoi microorganismi. Questa era la pratica che più giovava al vigore della pianta. L’assenza di queste cure, spesso a seguito di una cattiva interpretazione delle tecniche della non-coltura, la si nota in ogni uliveto che si sta ammalando. Le amorevoli cure di un tempo, di cui quest’albero è indubbiamente meritevole, si notano ancora di più!