Social network: 52% dei titolari fa ricerche sui candidati ad un lavoro

3 Giugno 2015
Aurora Scudieri
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Cravatta, gonna o pantaloni, capelli legati o occhiali nel taschino…prima di preoccuparci di come vestirci per andare ad un colloquio di lavoro dovremmo aggiornare, correggere, controllare il nostro profilo Facebook e quello Twitter.

Secondo uno studio realizzato da CareerBuilder, infatti, un datore di lavoro su due, alla ricerca di un nuovo impiegato da assumere, naviga sui social network, Facebook e LinkedIn prima di tutto, prima di decidere se assumerlo o meno.

titolare social

Opinioni politiche discordanti, fotografie poco serie, curriculum vitae non aggiornato. I social parlano di noi più di quanto il nostro CV riesca a fare in 15 minuti di colloquio. E questo i titolari delle aziende lo sanno. Sarebbero oltre il 50 %, infatti, quelli a svolgere delle ricerche su Facebook, Twitter, LinkedIn, ecc. prima di sceglierci per un posto di lavoro.

I più utilizzati sono Facebook (55%), seguito da LinkedIn (45%), Twitter (26%), Google + (23%) e Instagram (14%).

Appena il candidato esce dalla stanza, dopo un breve colloquio, infatti, i titolari si mettono davanti al computer e, attraverso nome e cognome scritto su un motore di ricerca (nel 42 % dei casi) iniziano a sbirciare nella nostra vita digitale. Tra quelli che invece dichiara di non farlo il 17 % ammette però di essere tentato, di volerlo fare o di averci pensato.

Il sondaggio, realizzato su oltre 400 professionisti tra il mese di marzo e quello di aprile, va anche oltre mostrando gli effetti di queste ricerche: nel 42 % dei casi la navigazione “incita” il titolare a scegliere il possibile candidato.

Tra le motivazioni più citate: la «dimostrazione di creatività» (33 %), delle «certezze sulla personalità» (33 %), delle «raccomandazioni esterne» (28 %) o ancora una «buona immagine professionale» (26 %). Al contrario, 41 % dei titolari «curiosi» dopo la ricerca si «convincono a non scegliere il candidato». Le «bugie sulle competenze» (32 %), la «mancanza di professionalità nell’utilizzo di pseudonimi» utilizzati sui social (28 %), le «critiche verso l’ex titolare per il quale lavoravano o colleghi di lavoro» (28 %) e le prove «di un consumo di alcol e droga» (23 %) figurano tra le motivazioni più citate.

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